Beniamino Gigli - cronache

BENIAMINO GIGLI

Dai trionfi di ieri a quelli di oggi

 

Udendo cantare BENIAMINO GIGLI, bisogna aprire l’anima - come abbiamo fatto noi - ed accogliere, colla gioia che stringe la gola e che vela gli occhi, il fascino grande che emana dalla sua voce, che ha tutta la bellezza sfolgorante e tutta la purezza immacolata del cielo dell’arte lirica italiana.

La prima volta, che lo abbiamo udito - sono ricordi rimasti incancellabili nella mente e nel cuore - è stato, precisamente, nella nostra Milano. Veniva a noi, dai trionfi del Costanzi di Roma: quei trionfi - lasciatecelo subito affermare - che segnarono, come un faro luminoso di gloria - il principio della sua gloriosa carriera.

Ed a questo proposito, noi andiamo più oltre: a noi piace - sebbene nella dura realtà non lo sia - considerare BENIAMINO GIGLI come primo interprete di Lodoletta, e non dobbiamo far molta fatica a dimostrarlo. Vediamo un po’: al Costanzi di Roma Lodoletta, in una seconda edizione, nella quale la parte di Flammen era sostenuta da BENIAMINO GIGLI. L’indomani tutti i giornali della capitale ne proclamarono il successo. Alberto Guasco - il critico musicale della “Tribuna - facendo il resoconto dello spettacolo scriveva testualmente:

 “Abbiamo avuto ieri sera, per la prima volta, la impressione esatta ed efficace di quello che sia, in quest’opera, la parte del tenore. Tutti in teatro se ne rallegravano e ne attribuivano il merito a chi ne aveva pieno diritto: al tenore Gigli”.

 “Il Corriere d’Italia aggiungeva: “Ieri sera, finalmente, apparvero in piena luce, le bellezze musicali della parte di Flammen, per merito del Gigli”.

Altro successo, sulle medesime scene, il Gigli l’ottenne nella Tosca. “La Tribuna - che non è certo un giornale sospetto di vergognose compiacenze - scriveva:

“Egli è ormai giunto a un grado di perfezione assolutamente mirabile. La sua voce calda e generosa si piga con morbidezza alle modulazioni più pericolose. I suoi acuti limpidissimi fanno pensare a quelli di Caruso”. E non basta: “Il Messaggero”, continuava nei confronti, scrivendo: “Alcune coloriture di gruppetti ci ricordavano il De Lucia dei suoi bei tempi”.

Questo il tenore - per rimetterci in carreggiata - che il pubblico di Milano doveva udire e giudicare per la prima volta.

 

                                                            ***

Sa la frase non fosse troppo sciupata - si adopera spesso per tante boriose nullità - noi potremmo dire semplicemente questo: BENIAMINO GIGLI apparve, a Milano, come una grande rivelazione. Diciamo, invece, che il tenore Gigli - al quale si deve il trionfo della Lodoletta a Milano, ove si dava per la prima volta - lasciò, nel nostro pubblico, un ricordo incancellabile, come sono rimasti vivi, ancor oggi, i ricordi dei primi trionfi fra noi di Bonci, di Caruso e di Titta Ruffo.

E fu realmente così: dal trionfo di Lodoletta, passò a quelli, non meno grandi, non meno entusiastici, diTosca e di Adriana, due opere che, anche a Milano, ribadirono saldamente, consolidarono in modo splendido la sua reputazione artistica, fino al punto di essere prescelto, da Arturo Toscanini, ad interprete di Faust nel Mefistofele, in una edizione che fu chiamata, giustamente meravigliosa.

La nuova affermazione di BENIAMINO GIGLI, alla Scala, fu pronta, immediata, grandissima. Di quelle memorabili rappresentazioni, un collega egregio, così fece la cronaca:

“Il canto del tenore Gigli piace soprattutto perchè v’è in esso una spontaneità che da a chi l’ascolta la tranquillità assoluta. Dal suo labbro sgorga il suono limpido e dolce e, a suo tempo, la chiara voce così eloquente nella tenerezza sussurrata, assume una solida rotondità ed un calore che si diffonde e penetra. Egli è il tenore per eccellenza. Il timbro è purissimo; la dizione esemplare, il sentimento squisito, il buon gusto innegabile, con tali qualità un artista fa lunga strada e giunge al teatro che fu detto il primo del mondo non per sorpresa, ma come giungevano gli artisti eminenti del passato: dopo aver dato prove magistrali in altri Primari teatri, circondato dalla più simpatica e giustificata attesa. Abbiamo udito Beniamino Gigli in queste sere eseguire nel “Mefistofele” la parte di “Faust” in modo stupendo. È uno dei cantanti che prontamente interessano, all’udire le sue frasi di prima sortita: “Al soave raggiar di primavera”, il pubblico anche meno iniziato sentì che un esecutore non comune gli stava dinanzi. Così alla romanza “Dai campi, dai prati”, con quel mirabile attacco di “fa” di quinta riga, con quel “si bemolle” di chiusa, limpido e lungo. Così al canto deliziosamente espresso “Se tu mi doni un’ora di riposo” nel duetto con “Mefistofele”: poi nel duetto con “Margherita” di cui ricordiamo la melodia: “Colma il tuo cor d’un palpito”, magnificamente espressa, adoran d’un “si naturale”acuto, largo, facile, timoratissimo, citiamo la leggerezza smaltata della voce di Beniamino Gigli nel duettino “Folletto folletto” del “Sabba infernale” e le sue invocazioni alla visione evanescente di “Margherita”. Ricordiamo il dolcissimo “Lontano, lontano” nella scena del carcere: capolavoro di miniatura e d’intonazione; non trascuriamo l’efficacissima imprecazione: “Ah, non fossi mai nato”, detta con accento mirabilmente drammatico; esaltiamo la stupenda esecuzione nel quadro romantico; il supebo canto “Forma ideal purissima” coronato da “si bemolli” fulgidi e vibratissimi, e il concertato nel quale eccellono tutte le doti dell’esecutore che tutto si dona alle pagine gagliarde in cui s’espandono voluttà e poesia. Citiamo da ultimo la esecuzione che beniamino Gigli fa della romanza “Giunto sul passo estremo”. È il punto in cui il tenore è molto aspettato, il punto in cui il trionfo di Beniamino Gigli ebbe i più fulgidi raggi. Esecuzione fatta di voce preziosa e di intendimento geniale, formata dalla grazia dell’espressione ed insieme di virilità, poichè il veccho “Faust” in quel momento aduna ogni forza per riporre tutta l’anima sua nell’aspirazione al “sogno supremo”, la pace, la prosperità, la felicità del mondo affratellato nella ricerca del bene”.

 

                                                               ***

Dopo il trionfo della scala, impossibile - anche per l’enorme spazio che sarebbe necessario - seguire BENIAMINO GIGLI nel suo giro trionfale nei nostri migliori teatri, nei quali passò dominando le folle, estasiate e commosse.

Accenniamo, invece, alla sua prima stagione d’America: quella del teatro Colon di Buenos Aires, che è rimasta semplicemente memorabile.

Ben sanno i lettori che il suo debutto laggiù avvenne colla Tosca e fu oltre ogni dire glorioso; che cantò poi la Gioconda, e la Borgia e il Mefistofele e la Bohème. Sanno che per lui squillarono altissime le trombe del grande successo e che alla première d’ogni opera mai è mancata sui giornali la affermazione che un gran tenore s’era rivelato; che un nuovo Caruso colmo di giovinezza aveva recato a quel gran pubblico la gioia intensa d’una manifestazione d’arte canora insperata e incomparabile. Ora noi diciamo ai lettori che l’addio di Beniamino Gigli ebbe luogo coll’atto terzo della Lucrezia Borgia. Una piena strabocchevole - dice la Patria degli italiani - non un posto in platea vuoto; i palchi contavano quanti più bei nomi di aristocratiche costellazioni conta il gran mondo bonaerense; la “cazuela”, la “grada” , il “paraiso” erano gremiti così da dare la impressione fossero muraglie di teste innumerevoli. Non meno di… 3500 persone conteneva la splendida sala del Colon. E v’erano persone che avevano pagato assai caro il loro posto in platea, cercato troppo tardi… ai rivenditori e vi fu chi pagò un palco 300 pesos!...

Il trionfatore vide appagate a Buenos Aires e a Montevideo tutte le più desiderabili compiacenze. Fu anche ricevuto da S.E. il Presidente della Repubblica Argentina, a lui presentato dall’ex deputato dottor Oyhanarte. Dicono i giornali che il dottor Irigogen accolse con massima affabilità il giovine artista. Lo felicitò per i suoi successi , ebbe parole di simpatia e di ammirazione per l’arte italiana e per l’Italia nostra “tradizionale culla del bel canto” e, nel dargli la mano, accomiatandolo, gli dette l’arrivederci come ad un vero amico.

Al cav. Gigli, nativo di Recanati, venne offerto un banchetto dal gruppo numeroso dei marchigiani residenti a Buenos Aires e ad essi si aggiunse una grande quantità di ammiratori che se non sono nativi delle Marche, non la cedono ai marchigiani in fatto di ammirazione entusiasta pel cantante ammaliatore.

Presenziavano anche i rappresentanti della stampa. Entusiasmo grande, cordialità massima, brindisi a non finire, dimostrazione solenne di amore all’arte italiana che poi si tramutò in dimostrazione di amor patrio e di beneficenza, poichè fu raccolta una somma che va a beneficio della costituenda Società dei reduci di Guerra.

Dicono giustamente i giornali di Buenos Aires che il successo di Beniamino Gigli va considerato anche sotto il pratico aspetto degli incassi che l’impresa del Colon ha ottenuti colle rappresentazioni a cui egli prese parte. Dicono che il tenore prezioso dev’essere vagliato come elemento che servirà si fulcro centrale alle stagioni avvenire e constatano che per giudizio della stessa impresa che durante la stagione del Colon tenne un’altra importante stagione al Coliseo, uno dei maggiori colpi della concorrenza derivò appunto dal successo personale e grandissimo ottenuto da BENIAMINO GIGLI.

 

                                                                ***

Ed eccolo al Metropolitan di New York, accanto ad Enrico Caruso; eccolo trionfare nuovamente, grandemente; otto opere, una trentina di rappresentazioni; un trionfo solo!... Tosca, Bohème, Amore dei tre Re, Cavalleria rusticana, Mefistofele, Lucia, Andrea Chénier Rigoletto, si successero fra entusiasmi clamorosi. L’impresa del Metropolitan  (e questo costituisce la gloria più fulgida del celebre tenore) lo riconfermò per due mesi, nella stagione di quest’anno, riconfermandogli poi, per le altre quattro stagioni consecutive, cioè fino al 1925.

BENIAMINO GIGLI, il tenore glorioso, si presentò, al Metropolitan Opera House, forte dei trionfi riportati in Europa e nell’America del Sud, ma senza far squillare la réclame, dinanzi al pubblico nuovo che doveva giudicarlo. È stata una presentazione assai seria e un successo positivo, tale che d’un tratto delineò  il posto importantissimo che il celebre tenore avrebbe occupato  nel teatro famoso dove un pubblico giudica con la propria testa e non subisce assolutamente influenze dalle notizie dei successi che gli artisti hanno altrove ottenuto.

La impressione che Beniamino Gigli ha destato cantando Mefistofele, ebbe agio di riaffermarsi ed ampliarsi  man mano che il repertorio delle du lui esecuzioni, si sviluppava. Così Turiddu vibrante e focoso prese il posto del compassato Faust; il patetico Rodolfo ha poi ceduto il passo al nobileCavaradossi, virile pur nei ricordi dolci e angosciati che accompagnano l’ora estrema; il fiero e appassionato Edgardo dell’opera donizettiana precedette l’amante Avito tristaneggiante nella sua infinita passione e il Duca nel Rigoletto ha poi cantato la sua gioia di vivere e il suo egoismo subito sorpassati dal fiero canto del poeta della rivoluzione, inneggiante alla causa degli oppressi. In questo brillante poliorama, quanto espandersi di slancio drammatico, di tenerezza accorata o di gioia esultante; quanto prodigarsi  di una voce che ha pienezza e smalto ed estensione meravigliose; di un sentimento sempre efficace perchè equilibratissimo , suggerito sempre dalla giusta visione del personaggio e dalle leggi di estetica che a lui si connettono…

 

                                                              ***

Pochi giorni fa, BENIAMINO GIGLI - al quale abbiamo stretta con effusione la mano - è stato, per poche ore - una rapidissima apparizione - a Milano. Veniva da Recanati, ove si è recato a riabbracciare la madre amorosa, che segue, con ansie febbrili, indescrivibili, i trionfi del suo figlio adorato. Da Milano, BENIAMINO GIGLI, il 27 maggio, partì per Rio Janeiro, riconfermato, come è noto, nella TournéeMocchi, ed ove lo accompagnano gli auguri certi e vivissimi di nuove vittorie d’arte.

Intanto - ritornando all’ultima sua apparizione al Metropolitan di New York - noteremo che, pel celebre tenore, le compiacenze maggiori furono quelle del Mefistofele e dell’Andrea Chénier. L’opera di Arrigo Boito non si dava da 14 anni. Gigli, ebbe il vanto di riportarla agli onori del trionfo non solo, ma di farla anche rimanere nel Repertorio del Metropolitan.

E questo non è ancora tutto. Vi sono i trionfi di BENIAMINO GIGLI nei Concerti, nelle famose sue rappresentazioni a Filadelfia e a Brooklyn e nelle incisioni dei dischi, colla società Victor, per una paga veramente americana.

Ora il divo - che porta glorioso pel mondo il nome dell’Arte nostra - viaggia alla volta di Rio Janeiro.

Lo attendono nuove vittorie, nuovissimi trionfi. Noi, attendiamo quella vittorie, quei trionfi. E, mentre nei nostri giardini i bianchissimi gigli aprono i petali ai loro profumi, BENIAMINO GIGLI rimane il purissimo e delicato giglio della scena Lirica Italiana.

 

Tratto dalla RIVISTA TEATRALE MELODRAMMATICA n°2813  del 16 gugno1921

 

 

 


IL CANTORE DEL POPOLO

 

Quand'ero poco più d'un ragazzo (sono trascor­si, credo, almeno venticinque anni) uno dei modi in cui manifestavo il mio amore per la musica, specificamente melodrammatica, era quello di rita­gliare, dai giornali italiani, tutti gli articoli che ri­guardavano l'argomento prediletto, per incollarli, con diligente affetto, sui fogli d'un quaderno. Devo a questa ingenua giovanile passione, se ho potuto conservare, per tanti anni, ingiallito dal tempo, fra i molti articoli su Beniamino Gigli, uno che, più di tutti gli altri a mia conoscenza, meglio illustra il grado e la vastità dei consensi raggiunti da questo che considero l'ultimo classico rappresentante del bel canto italiano.

A quell'articolo, ed ad altri, sono tornato più volte, e quell'articolo più volte ho riletto, specie quando si tentava di istituire dei confronti con i so­fisticati e pubblicitari successi di oggi. E ragazzo, poi via via, adulto, ho provato sempre, nel legger­lo, un intimo compiacimento, non disgiunto del tutto, da una lieve sottile commozione.

Credo fosse nel 1932, Gigli cantava dunque, e con quale ritmo, da diciotto anni (anche questo imparino i cantanti di oggi) ed era al culmine della sua carriera, per splendore di voce e maturità di espressione. Ad Oslo, in Norvegia, per un concerto. Acuto, per la psicologica finezza l'avvio di quella corrispondenza: «Ad una straniera, che aveva sog­giornato lungo tempo in Italia e che giungeva in Norvegia dopo aver attraversata la Francia, fu chiesto un giudizio sul nuovo Paese. E la dama garbatamente rispose così: 'A Parigi si cantava già meno; qui non si canta affatto'. E prosegue: 'Eppu­re l'anima della Norvegia è canora'. Solo che 'il canto pubblico e spontaneo, il canto che si fa per tutti e per nessuno, il canto espressione clamorosa della letizia interiore qui non esiste'».

Esiste invece la passione per la musica, la pas­sione per il melodramma, con punte di fanatismo per i cantanti italiani. Prima dell'arrivo di Gigli, altri artisti italiani, Dusolina Giannini, Rosetta Pampanini, avevano ottenuto grandi successi. La notizia dell'arrivo di Gigli fu come uno choc. Poi­ché il salone dei concerti era piccolo, si decise di farlo cantare in un enorme edificio, la «Casa delle Missioni». «Cupa e disadorna la sala, uno stanzone squallido, con due ordini di gallerie in legno, un organo immane, un pulpito altissimo, cui si accede per due gradinate: atmosfera gelida, da chiesa pro­testante, che non bastano a riscaldare né un vela­rio rosso, disteso a mascherare il pergamo, né qualche ciuffo di garofani distribuito qua e là. E anche il pubblico, costretto a tenersi addosso man­telli e pastrani, sembra piuttosto una folla di silen­ziosi puritani che si apprestino ad ascoltare una predica, che non il fior fiore della mondanità citta­dina, convenuto ad un eccezionale spettacolo d'ar­te. Ma appena la cordiale e simpatica figura del cantante appare sul palco, appena nel vuoto dell'aula si effondono le prime note armoniose e filate: 'Un dì, all'azzurro spazio...', allora veramen­te la cupola enorme sembra aprirsi, e appare sulle nostre teste l'azzurro del cielo».

«Il pubblico è conquistato a poco a poco, si ri­scalda per gradi. L'applauso comincia a diventare entusiastico quando Gigli, o per felice intuizione sua o per scaltro suggerimento altrui, intona la ro­manza che è qui, fra tutte le musiche del mondo, antiche e moderne, nazionali e forestiere, la più svisceratamente amata, ammirata sino al fanati­smo: l'aria del terzo atto del Rigoletto. E così per il racconto della Bohème, per l'aria dell'Arlesiana, per il rimpianto e il lamento della Tosca. Quando finalmente il cantante, riscaldato anche lui dall'entusiasmo popolare, dopo aver concesso die­ci o dodici bis, attacca alcune fra le più dolci can­zoni napoletane, allora l'entusiasmo è indescrivi­bile. L'artista pur abituato ai trionfi, è stupito e commosso; sorride, si serra le mani, manda baci, raccoglie fiori. E occorre che si presenti un'ultima volta al proscenio, già in cappello e pastrano, per­ché il pubblico si decida a far l'ultimo applauso e a uscire. Allora mi sento toccare sulla spalla. Mi vol­to: è un amico norvegese, e sorride con bonaria ironia: 'Avete visto? Stasera potere dire di avere scoperto un angolo insospettato dell'animo no­stro'».

Ciò che quella sera accadde ad Oslo, davanti a cinquemila persone, era già accaduto innumere­voli volte innanzi a pubblici spesso più numerosi, e per diversi anni ancora doveva verificarsi in tutto il mondo.

Qual era il segreto di Gigli? Da dove traeva que­sta forza di comunicazione e di commozione che si può dire unica? Si diceva, per ischerzo: «Gigli è na­to cantando». E si voleva significare, con ciò, una voce, la cui spontaneità di emissione e generosità, erano pari alla bellezza. Sembrava non avesse stu­diato, così naturale era in lui, il suo modo di espri­mersi, di porgere, mentre usava, invece, tutti gli accorgimenti di una tecnica raffinatissima. Lo smalto della sua voce, quale che fosse la romanza, l'opera, la canzone, interpretate, era di per sé suffi­ciente a mandare in estasi gli ascoltatori. Ma que­sta voce, questo smalto, questa stupenda generosi­tà, erano, sempre umilmente al servizio di una na­tura di interprete, di un animo, non meno semplici e schietti. Raffaele De Rensis, in una sua biografia, chiamò Gigli «Il cantore del popolo». E non solo, e non soprattutto, per la notissima generosità prati­ca del cantante, pronto ad accorrere, ovunque fos­se richiesta la sua presenza, in concerti o spettacoli di beneficenza, per la sua altrattanto proverbiale generosità a concedere bis, fuori dello spettacolo o del concerto, in qualsiasi luogo, anche all'aperto, a qualunque ora del giorno e della notte, ma per quella sua personalissima, non sofisticata schiet­tezza canora, capace, come nessun'altra, di soddi­sfare la melodrammatica fantasia, la canora ingor­digia, dei pubblici di tutto il mondo.

E tutto il mondo, per alcune decenni, potè ascoltare questo beniamino della lirica italiana, in un repertorio d'una vastità impressionante. Come ricordare tutte le sue interpretazioni? Dalla Lucia alla Gioconda, dall'Andrea Chénie a La Sonnambu­la, dai Pescatori di Perle all'Africana, dalle due Manon all'Elisir d'amore, dal Rigoletto al Mefìstofele, dalla Cavalleria alla Forza del Destino, dalla Marta alla Tosca, dalla Bohème alla Traviata (e quante al­tre ora non ricordiamo, e non possiamo ricordare) la sua voce, il suo canto, spaziarono, sicuri, sempli­ci, umani, trovando per ogni opera, ogni personag­gio, ogni romanza, un accento inconfondibile, quell'accento che, chi l'ha udito, non potrà più di­menticare.

 

GIUSEPPE PUGLIESE

 

dal quotidiano Il Gazzettino del 1 dicembre 1957

 

 


IL TRIONFO DEL BELCANTO ITALIANO ALL'AUGUSTEO DI ROMA

 

Dall'autorevole giornale della Capitale "Il Mondo", siamo assai lieti di riprodurre:

"Beniamino Gigli e Giuseppe De Luca il 2 settembre prossimo uniranno le loro due arti insigni in uno scopo benefico. Entrambi hanno accondisceso di cantare all'Augusteo a profitto di opere filantropiche. La notizia ormai di dominio pubblico ha suscitato la più viva attesa, sicchè è da prevedersi che per il giorno annunciato il maggior nostro tempio musicale assumerà l'aspetto delle grandissime occasioni.

 

Il nome di beniamino Gigli che al Metropolitan di Nuova York ha preso il posto di quello di Caruso, è ormai accreditato nel mondo intero come quello del più grande tenore della nostra epoca; la voce d'oro del Gigli è suscitatrice delle più intense e squisite emozioni facendo ripensare alle voci più famose che hanno deliziato i cieli dell'arte lirica e gli animi umani.

 

Giuseppe De Luca è il grande De Luca, il baritono dall'arte insuperabile, che unisce ai pregi d'una voce preclare quelli di una scienza scenica di eccezionale pregio. Anche De Luca ha ricevuto in America un battesimo di celebrità cui non è facile trovare raffronto. Indubbiamente il Concerto annunciato all'Augusteo segnerà una data memorabile negli annali lirici della Capitale".

 

E l'atteso Concerto, alla data fissata, si svolse splendidamente, dando le più alte emozioni artistiche e il più squisito godimento musicale, con questo programma:

 

Prima parte:  orchestra: avventure (sic) del Matrimonio Segreto del Cimarosa;  2). contralto (Vida FERLUGA),S'apre per te il mio cor del Sansone e Dalila del Saint-Saens; 3). Giuseppe DE LUCA , Cavatina di Figaro delBarbiere di Siviglia; 4). Soprano (Caterina GOBBI) Morte di Isotta del Tristano e Isotta del Wagner5). Beniamino GIGLI  Oh, Paradiso, dall'onde uscito!.. dell'Africana del Meyerbeer;  6). Beniamino Gigli e Giuseppe De Luca, duetto finale per tenore e baritono della Forza del Destino del Verdi.

 

Seconda parte: orchestra largo  dell'Haendel per archi, arpe e organo Isiederà all'organo il celebre organista Antonio Traversi);  2). Soprano (Caterina Gobbi) 

O cieli azzurri… dell'Aida del Verdi;  3). Giuseppe De Luca  aria del Re di Lahore del Massenet;  4). Contralto (Vida Ferluga)  racconto di Azucena del Trovatore del Verdi;  5).  Beniamino Gigli  improvviso dell'Andrea Chénier del Giordano;  6). Gigli, De Luca, Gobbi, Ferluga  quartetto finale del Rigoletto del Verdi.

 

Col titolo Un concerto trionfale. L'Illustre critico musicale della Tribuna, maestro Alberto Gasco, scrive:

Un concerto all'Augusteo con grande orchestra sinfonica e cantanti di fama mondiale, nel periodo più languido della vita estiva, mentre il caldo è in ripresa e le strade dell'Urbe sono impraticabili con i selci buttati all'aria da un nugolo di operosi terrazzieri! Nella nostra Roma infuocata e disselciata, la notizia che il tenore Beniamino Gigli e il baritono Giuseppe De Luca unitamente ale signorine Gobbi e Ferluga e ai maestri Morelli e Traversi avrebbero dato nella sala di via dei pontefici un'audizione-monstre, è corsa giuliva. Il pubblico sonnacchioso si è ridestato. Dai luoghi di villeggiatura più vicini i buontemponi hanno fatto precipitoso ritorno alla capitale.

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Sia lode dunque a Beniamino Gigli, che, pure aspirando a raccogliere l'intera eredità di Caruso, dà prova di possedere una sensibilità patriottica e un'affabilità fraterna che il suo maestro ha mostrato di avere soltanto in piccola dose.

Quanto a Giuseppe De Luca, al glorioso Peppino, figlio autentico di Roma, si sa che egli si è sempre prodigato con ammirevole cortesia. La sua ricomparsa fra noi non ci ha quindi sorpreso: ci ha recato bensì, una gioia nuova, piena e indimenticabile.

Il resoconto del concerto di iersera può mettere in imbarazzo il cronista: a voler parlare dettagliatamente dell'esecuzione di ogni romanza, ci sarebbe da riempire colonne intere di giornale. Cercheremo di essere stringati al massimo grado e, sopra tutto, esatti ed imparziali.

Prima di aprire il fuoco, si è presentata  sulla pedana la signorina Vida Ferluga con una rosa bianca in mano, il nome della Ferluga è già noto  da qualche tempo, gentile cantatrice ha, in effetto, mezzi vocali degni di molto riguardo e può dirsi destinata a sicura carriera. Nel popolare Arioso del Sansone e Dalila e nel racconto delTrovatore, l'uditorio ha applaudito la Ferluga con vero calore. Costretta a cantare un pezzo fuori programma, ella ha prescelto una romanza del maestro Pietro Cimarra, che l'ha accompagnata egregiamente al pianoforte.

La signorina Caterina Gobbi, allieva del Liceo Musicale di Pesaro, ha una limpida voce di soprano, notevole, per estensione ed omogeneità. L'aria Pace, mio Dio della Forza del Destino e la romanza del Cid di Massenet sono state rese da lei con finezza di emozione e talora con vigorosi effetti. A questi due brani, accolti dal pubblico con segni di intensa soddisfazione, la concertista ha aggiunto la squisita Serenata inutile di Johannes Brahms.

Ed ecco Giuseppe De Luca, col suo sorriso di conquistatore arguto, elegante e disinvolto nel frach irreprensibile,Viva Peppino! Il saluto del pubblico è cordialmente tempestoso. L'eroe fa un gesto come dire: "Un po’ di calma! Non consumate anzi tempo l'epidermide delle mani! Lasciatemi prima cantare e dopo datemi la giusta ricompensa!". L'orchestra attacca l'elettrizzante entrata del Figaro del Barbiere. Il De Luca mette fuori l'invidiabile tesoro della sua voce. Gaudio infinito della folla. Quale dicitore ammirabile. Quanta Malizia congiunta a buon gusto! La cavatina rossiniana sembra più che mai un giuoco di frizzi geniali e di maliose fosforescenze.

Alla fine esplode nell'anfiteatro un'assordante ovazione. Il De Luca tenta di scappare. Ma che! Egli non può sfuggire alle tenaglie dei suoi ardenti estimatori; deve per forza cantare un altro pezzo. Si urla dal loggione: ilPrologo, il Prologo! (quello dei Pagliacci). L'ottimo Peppino De Luca protesta: Un'altra volta! Poi, sempre burlone, per contentare l'assemblea, canta una romanzetta del Tosti, una cosina smorfiosa, mingherlina e artisticamente insulsa, ma della quale egli fa una incantevole creazione. Nuovo tributo di applausi.

È la volta di beniamino Gigli. L'attesa si intensifica a dismisura. Su Giuseppe De Luca nessuno può discutere, ma quanto al Gigli si tratta di vedere se egli possa aspirare a prendere il posto già tenuto imperialmente da Enrico Caruso nell'arringo lirico mondiale.

Il giovane tenore si avanza a rapidi passi. Molto iniziale di piacevole sorpresa nel pubblico. Egli ha smaltito gran parte dell'adipe che gli conferiva, anni addietro, l'aspetto di un prelato gastronomo impenitente. Ora Beniamino Gigli ha una figura svelta e signorile. E ha una voce . evitiamo di stabilire confronti oziosi e perigliosi: diciamo, tutto d'un fiato e senza lusso di perifrasi, che Beniamino Gigli è diventato un artista di altissimo rango, un tenore degno di mille corone d'alloro. Noi che abbiamo seguito sino dai primi passi il suo ascendere nella via dell'arte, possiamo valutare con precisione gli immensi progressi da lui compiuti in un tempo relativamente breve. Il Gigli, che già a venti anni aveva una voce morbida, abbondante ed uguale nei vari registri, ora ha sviluppato a dismisura queste qualitàe ha aggiunto ad esse altri requisiti decisamente preziosi; adesso egli canta  con un abbandono lirico che commuove e, non di rado, ha scatti di energia bella e spasimi profondi che appaiono proprio degni di un novello Caruso. Più che nell'aria O Paradiso dell'Africana, abbiamo iersera ammirato il Gigli nel cantabile Anch'io vorrei dormir così dell'Arlesiana di Cilea - interpretato con perfezione assoluta di accento e con arcani effetti di mezza voce - e nella romanza E lucevan le stelle della Tosca. Il delizioso tenore si è congedato dal pubblico con la canzone La donna è mobile, nella quale egli si è affermato definitivamente come un maestro delbel canto.  L'ultima nota acuta del pezzo ha risuonato come uno squillo di una campana di bronzo e d'oro. S'indovina che il Gigli ha conquistato suffragi entusiastici. A momenti, è passato per l'Augusteo un vento di delirio. Quando egli cantava le signore dimenticavano di agitare il ventaglio, non ostante la temperatura più che tropicale dell'ambiente.

Affrettiamo il termine del nostro resoconto: notiamo che il De Luca, nella seconda parte del concerto, ha interpretato oltre al brano O casto fior del Re di Lahore, una vispa canzonetta veneziana che al pubblico è parsa adorabile oltre ogni dire. Il duetto della Forza del Destino - nel quale il Gigli e il De Luca hanno gareggiato in valentia - e l'immortale quartetto del Rigoletto, cantato dalla Gobbi e dall'infaticabile Peppino, hanno fatto trascorrere all'assemblea istanti di salutare ebbrezza.

Terminiamo con una parola si schietto encomio per il maestro Alfredo Morelli, che ha diretto l'orchestra abilmente e diligentemente, meritandosi congratulazioni per la sua interpretazione del Largo di Haendel. Il Travesi, che sedeva all'organo. È stato pari alla sua fama.

Concludendo, l'arte del bel canto italiano lungi dall'essere morta o agonizzante, dà ancora frutti prelibati. Purtroppo l'esportazione in America di questi frutti è compiuto oggidì in misura così vasta, che noi corriamo il rischio di rimanere a denti asciutti. Comunque ringraziamo Beniamino Gigli e Giuseppe De Luca di averci offerto, con vera signorilità, per una sera, un banchetto degno dei tempi pantagruelici. E aspettiamo che la festa si rinnovi. Sperare non costa nulla ed oggi la vita è tanto cara, ci aggrappiamo alla speranza, come l'unico lusso che ci è consentito.

 

ALBERTO GUASCO

 

Tratto dalla RIVISTA TEATRALE MELODRAMMATICA n°18 anno 61 -  del 6 settembre 1923.

 

 

 

 

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